Un bollino anti-contraffazione per difendere il Made in Italy

Si chiama “TF-Traceability and Fashion” il progetto promosso da Unioncamere-Unionfiliere per tutelare il vero Made in Italy dal rischio contraffazione dei suoi prodotti, una vera piaga che erode l’economia del nostro paese e anche la nostra reputazione all’estero. Il Made in Italy nel mondo è da sempre sinonimo di alta qualità ed è un patrimonio di stile, innovazione e tecnologia da proteggere con tutti i mezzi a disposizione. La contraffazione è una minaccia sempre più preoccupante per le imprese e i consumatori ed è necessario tutelare e proteggere brand e brevetti per rimanere competitivi sul mercato e non essere ‘scippati’ delle nostre migliori idee, svalutate, svendute e violate.

Ormai non c’è settore del Made in Italy che non sia caduto nel mirino dei falsari. Il progetto “TF-Traceability and Fashion”, che è stato presentato a Berlino nel corso di un evento organizzato dalla Camera di commercio italiana per la Germania, consiste in una sorta di “bollino” rilasciato dalle Camere di Commercio locali dopo rigorosi controlli su tutte le tappe di produzione di tessuti, capi, accessori e pelletteria. L’obiettivo è assicurare l’assoluta trasparenza e tracciabilità di ogni prodotto realizzato sotto l’etichetta di “Made in Italy”, dall’idea iniziale fino alla sua realizzazione finale.


Nelle intenzioni delle istituzioni e di chi lo ha concepito, questo bollino potrebbe rivelarsi un valido aiuto nell’azione di contrasto a questo gravissimo problema. Il commercio dei prodotti contraffatti, secondo stime recenti del WTO (l’Organizzazione Mondiale del Commercio), è stimato attorno al 7% del commercio mondiale per un valore complessivo di 200 miliardi di dollari e per quanto riguarda il Made in Italy, stando ai dati forniti dal Censis, si attesta attorno ai 7 miliardi di euro. Quando crediamo di risparmiare acquistando un falso, spesso mal realizzato e con materiali tossici, per giounta, pensiamo che lo stiamo facendo sulla pelle di tanti lavoratori (artigiani, sarte, ricamatrici, terzisti, rappresentanti…) che perderanno il posto se le vendite non saranno soddisfacenti.

Bisogna entrare nell’ordine di idee che se al momento non possiamo permetterci un dato prodotto non c’è nulla di male. Bisogna avere davvero poca autostima per far dipendere il giudizio che abbiamo di noi stessi dal possedere, ad esempio, una certa borsa di una data griffe. Questa “rivoluzione copernicana” parte, quindi, da ciascuna di noi perché se non c’è domanda di falso non c’è offerta. Purtroppo da sempre la vanità presta il fianco alla criminalità e pur di sentirsi parte di un sogno e possedere uno status symbol, anche “taroccato”, non si guarda in faccia a nessuno e più c’è crisi più aumenta la richiesta di falsi.

Certo, dati i tempi, le griffe potrebbero anche ritoccare un po’, i loro listini prezzi, ma anche loro vendono meno di un tempo, mentre gli artigiani sono strozzati ogni giorno tra affitti carissimi, un’infinità di tasse e una perdita inesorabile di una clientela sempre meno educata al bello, che raramente sa capire e apprezzare un pezzo unico e preferisce orientarsi su status symbol universalmente riconosciuti e riconoscibili, che dicano al mondo, che loro non hanno affatto perso potere d’acquisto. Una questione di insicurezza ed autostima che però si ripercuote sull’economia di una intera nazione.

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