La moda diventa arte alla Royal Academy of Arts


La Royal Academy of Arts presenta una mostra interamente dedicata sul rapporto esistente tra moda ed arte e come queste due discipline si influenzino a vicenda, creado risultati davvero inaspettati che ormai hanno fatto e faranno la storia.  Intitolata precisamente, “Aware: Art Fashion Identity” resterò aperta fino al 30 gennaio 2011, e credo sia davvero da non perdere. La cosa che mi colpisce di più in assoluto è sicuramente il fatto che siano stati coinvolti una serie di artisti e di progettisti del mondo della moda, per compiere una riflessione visiva su come l’abito, e l’abbigliamento possano diventare un meccanismo e soprattutto un mezzo per comunicare e rivelare elementi della nostra identità e personalità. La mostra così contiene il lavoro di 30 personalità in un perfetto mix tra arte e moda, ne cito solo alcuni di questi grandi nomi come: Marina Abramovic, Acconci Studio, Alicia Framis, La Maison Martin Margiela, Alexander Mc Queen, Yoko Ono, Katerina Seda, Cindy Sherman e tanti altri ancora. L’esposizione occupa le gallerie principali della Royal Academy e si divide in quattro sezioni aventi una prerogativa specifica.

La prima è intitolata Storytelling e riconosce e cerca di rappresentare quale sia il ruolo dell’abbigliamento nella rappresentazione della storia personale e culturale dei popoli. In questa sezione, ad esempio è esposto un cappotto realizzato dall’artista Grayson Perry, creato da tanti tessuti di lusso in stile patchwork, del 2004 che denuncia e rappresenta la condizione, lo stuatus degli artisti nel mondo contemporaneo. La seconda si chiama Buildings e qui si dipana il concetto di abbigliamento usato come forma di protezione, come un vero e proprio riparo, chiaro riferimento alla cultura nomade e alla vita moderna che necessita sempre di tanti elementi da portare costantemente con se. Infatti Mella Jaarsma, nel suo lavoro, compie un paragone tra gli abiti e le costruzioni architettoniche. La terza parte è definita Belonging and Confronting esamina il confronto politico e sociale, che ne deriva anche dagli usi e costumi dei diversi popoli, che automaticamente adattano la moda anche alle restrizioni politiche o della propria religione. Sharif Waked, artista palestinese, presenta un’istallazione chiamata Chic Point che denuncia le associazioni che derivano dall’accostamento di due mondi così distanti come quello della moda e quello dei regimi che propongono la semi-reclusione.

Ultimo pezzo della mostra tratta il tema delle Performance, elemento ormai sempre più frequente nel mondo patinato delle sfilate, proprio per dimostrare come un evento di moda possa diventare un’esperienza quasi del tutto artistica. Presenti filmati come quello di Yoko Ono del 1965 dove l’artista invita il pubblico a tagliare i propri abiti a strisce, alludendo alla totale distruzione delle barriere imposte dagli stereotipi mondiali. Così ecco fornita una panoramica di ciò che è possibile vedere, nel caso ci si trovasse a Londra, e sicuramente ciò che mi colpisce è come la moda riesca, ancora una volta ad adattarsi, reinventarsi e trasformarsi in arte, in pezzi dalla creatività sopra le righe, ma che contribuiscono non solo ad aggiungere fascino al nostro corpo, ma diventano anche un vero e proprio patrimonio culturale che si tramanderà, grazie alla loro immortalità.