Campagna scandalo per un marchio di abbigliamento maschile olandese: l’importante è davvero che se ne parli?

Sembrava che con la campagna pubblicitaria della compagnia aerea russa Avianova avessimo visto di tutto e di più nel mondo dell’advertising. Non so ve la ricordate: si trattava delle immagini di alcune hostess che scendono da un aereo, si spogliano delle loro divise di linea e, armate di lingerie che lascia poco spazio all’immaginazione, spugna e catino, si improvvisano in una pulizia minuziosa dell’aviomotore come nel peggiore dei sexy car wash. Il tutto mentre gli operai che lavorano allo scalo le osservano con un certo interesse.

Bene, – dicevamo – sembrava che allora si fosse toccato il fondo in fatto di sfruttamento del corpo femminile a scopi pubblicitari, ed invece non era così. Recentemente il marchio Suit Supply, un brand olandese di abbigliamento maschile non molto conosciuto almeno fino ai giorni nostri, ha fatto scatenare a dir poco un putiferio su web, social network e giornali per una campagna scioccante nella quale corpi femminili desnudi vengono fotografati in pose allusive e soprattutto volgari. Per non parlare del risultato svilente sia del corpo della donna che del concetto di intimità con l’altro sesso.

Secondo la sottoscritta l’indignazione che è nata è stata appena il minimo di quanto sarebbe dovuto accadere date le pose che sono state rilanciate anche da alcuni siti. A proposito degli scatti: intenzionalmente ho deciso di non mostrarveli e di lasciare a voi solo l’unica delle foto che mi sembra appena decente di pubblicazione. Mi spiego meglio.

Probabilmente questa immagine non sembra raccontare un granchè ma vi posso assicurare che, data la protesta montata in rete, sono addirittura intervenute le associazioni in difesa dei diritti delle donne ed è stata tirata in ballo l’authority della pubblicità.

“La pubblicità è l’anima del commercio”

si è sempre detto, e questo va bene, ma vorrei proprio sapere che cosa c’entrano pose sessuali apertamente manifeste e situazioni ai limiti della pornografia (badi bene, non stiamo parlando di erotismo d’autore) con un brand di abbigliamento maschile. Io proprio non lo capisco.

“Bene o male. L’importante è che se ne parli”!?

anche questa volta ha funzionato, peccato che il caso sia inquietante. Ve lo racconto: il marchio Suit Supply ha lanciato una campagna pubblicataria per la nuova collezione maschile. Il che è normale soprattutto in questo periodo sotto le Feste. Accade però che, per attirare maggiormente l’attenzione dei potenziali clienti, il marchio ha tappezzato un intero centro commerciale con le immagini dello shooting, foto che ritraggono uomini elegantemente vestiti con gli outfit del brand e donne in pose al limite della decenza, con i corpi a completa disposizione dei loro partner. Tutto bene (si fa per dire) finchè un giorno nel suddetto mall, il Shepherd’s Bush centre, si è presentata la 23enne Joey Abbis-Stubbs, appassionata di moda, di stile e di web.

Rimasta scioccata per essere stata costretta a vedere questi maxi poster pubblicitari, ha espresso tutta la sua indignazione su Twitter e da qui la news ha fatto il giro del mondo fino a scatenare una protesta che è montata in rete: alla fine sono persino intervenute le associazioni in difesa dei diritti delle donne ed è stata tirata in ballo l’authority della pubblicità (mi sorprende che delle mamme e delle signore in generale olandesi non sia stato detto nulla).

Ad ogni modo, qual è stato il risultato? Finora la ovvia richiesta da parte di tutti (tutti, adesso! – ndr) che la pubblicità e le sue foto oscene siano ritirate in quanto espressione di un’idea “troppo offensiva, troppo mortificante per l’immagine femminile, troppo esplicita”. Ma vogliamo parlare della educazione sessuale e della sensibilità dei minori? Casi del genere sono ormai all’ordine del giorno, è vero, e di situazioni analoghe ce ne sono state anche nel nostro Paese come la protesta delle zucchine esplicite di Sisley, il finto stupro di Calvin Klein Jeans, i seni a mo’ di Etna e Vesuvio per una campagna del turismo: in quel caso le foto erano state ritirate dalla fruizione pubblica.

Rimane comunque il dubbio sulla integrità morale di brand e pubblicitari che si mettono a disposizione di progetti di questo tipo, e mi nasce spontanea una domanda: l’importante è davvero che se ne parli o ci sono dei valori etici che dovrebbero rimanere, comunque, sempre validi? Lascio la parola a voi.