Evasione fiscale per 120 milioni di euro, nota griffe nei guai

Quattro denunce ad amministratori delegati e prestanomi, imputazione di 120 milioni di euro evasi al fisco e 25 milioni di euro all’Iva. E’ questa la spada di Damocle che pende su una nota griffe di abbigliamento, di cui non è ancora stato reso il nome.

Il meccanismo, secondo gli uomini delle Fiamme Gialle avveniva contando su punti vendita fittizi dislocati a Roma, Mantova, Bologna, Napoli, Palermo e Londra che di fatto non esercitavano alcuna attività di retail.

In pratica i negozi aperti solo sulla carta servivano come copertura per occultare l’immensa evasione fiscale. Un particolare che non è sfuggito alla Guardia di Finanza che ha voluto indagare e ha scoperto che i negozi erano inseriti in una rete di franchising controllata dalla società e usati esclusivamente a questo scopo.


Anzi secondo le indagini i punti vendita servivano come magazzino per merce che veniva dichiarata venduta e poi smerciata a nero a prezzi concorrenziali. Si prefigura così anche la possibilità della costituzione in parte civile da aziende che direttamente o indirettamente abbiano subito un danno economico.

E’ solo l’ultimo degli episodi che stanno rivelando un assetto del sistema moda molto più precario di quanto si pensasse. Sicuramente la crisi economica – ma questa non vuol essere una giustificazione – sta compromettendo molti bilanci ormai da anni e pur di non rinunciare ai capitali e ai fondi molti amministratori delegati ricorrono a mezzi illeciti.

Ricordiamo poi la vicenda del crack Burani da 450 milioni di euro, tutt’ora al centro di atti processuali. Una settimana fa il giudice Luciano Varotti del Tribunale di Reggio Emilia ha respinto l’istanza d’iscrizione al passivo presentata da Giovanni e Andrea Burani in qualità di ex dipendenti. Sono stati accolte invece le istanze di 200 dipendenti dell’azienda di Cavriago.

Fra le domande accolte anche quelle di 54 artigiani e 51 agenti di commercio e della modella Maria Ida Righi, ex Miss Reggio Emilia.