Scandalo Abercrombie and Fitch moda mare p/e 2011: la questione del bikini imbottito per bambine

Dopo le diatribe fra Antonio Ricci e Gad Lerner; dopo la dichiarazione di guerra-non violenta fra Veline e il Concorso di Miss Italia; dopo le indignazioni sulla realtà dei concorsi di bellezza per baby – americane e non – di Little Miss America, il corpo delle donne, anche di quelle in miniatura, torna a far parlare per una novità assai inquietante sbarcata nel mondo della moda e del costume.

Non parlo esclusivamente di lifestyle ma di costumi da bagno: è notizia di sabato scorso che Abercrombie and Fitch ha deciso di lanciare per l’estate 2011 un bikini imbottito per bambine. E come era facilmente prevedibile, è stato subito scandalo.

Cliccate sul sito americano della maison Abercrombie & Fitch: online troverete in vendita un bikini da bambina con le coppe del reggiseno imbottite, per dare così l’illusione di un seno più grande.

Si tratta di un modello in nylon e spandex disponibile in due colori – o a righe bianche e rosse o bianche e azzurre – che fa parte della linea Ashley push-up triangle, a sua volta serie della collezione moda mare pe 2011 della maison.

Il costume a triangolo push up rientra fra i pezzi della collezione estate Abercrombie Kids, quella destinata alle ragazzine dagli 8 ai 14 anni, e si compone di due soluzioni: il top imbottito da 24,50 dollari (poco più di 17 euro) e il pezzo di sotto che ne costa 19,50 (poco meno di 14), acquistabili anche separatamente.

I precedenti

Ad onor del vero, la maison non è estranea a questo tipo di stranezze: già nel 2002, infatti, l’azienda era finita nell’occhio del ciclone per aver lanciato una linea di intimo per giovanissime alquanto maliziosa e troppo “ammiccante” per delle piccine, un fatto poi seguito a ruota da un altro analogo, avvenuto solo lo scorso anno e con la catena britannica Primark la quale, alla fine, aveva bloccato la vendita dei suoi top scandalosi – sempre per bab y fahsioniste – scusandosi anche con i propri clienti.

Ora, però, è Abercrombie ad averla fatta di nuovo grossa con questa ineccepibile caduta di stile e, come ha giustamente detto qualche collega blogger, a meno che

“comunque, non si tratti di una semplice provocazione da parte dell’azienda americana” (Pianeta Donna- Yourstyle, ndr).

Il commento più corretto e a mio modo di pensare anche condivisibile è stato dato, ancora una volta, da un altro blogger, non del tutto “fashion” ma comunque responsabile del blog dedicato alle future-neo mamme, Babble. La sua dichiarazione è stata:

“Il reggiseno imbottito è decisamente uno strumento sessuale perché spinge il seno in alto e concentra l’attenzione in un solo punto. Come può andare bene per una ragazzina che va ancora alle elementari? Giocare ad essere sexy è una parte importante ed inevitabile del processo di crescita, ma c’è un’enorme differenza fra lo sperimentare questa idea su se stessi e il ritrovarsela venduta su un catalogo per bambini”.

Ma altri commenti non sono mancati…

I commenti

A questo punto, a dire la loro, sono intervenute anche altre alcune voci autorevoli negli States, come quella della dottoressa Janet Rose, esperta di rapporti fra genitori e figli, sul blog FOX411 e della psicologa californiana Nancy Irwin. Se la prima ha detto:

“E’ una cosa assolutamente spaventosa perché se un genitore comprasse un bikini imbottito per una bimba di 8 anni, bisognerebbe chiamare i servizi sociali. La “sessualizzazione” degli adolescenti è già abbastanza grave di suo e ora questo trend sta ricadendo anche sui bambini più piccoli. Se continueremo a fare in modo che i nostri ragazzi diano così importanza all’essere sexy, non oso pensare a quali danni potremo fare a lungo termine sulla loro autostima e sui valori che acquisiranno quando saranno adulti”,

la seconda non è stata da meno:

“E’ come incoraggiare la precocità e la promiscuità sessuale”.

Anche la collega comportamentista Patrick Wanis ha puntato il dito contro quelle mamme

“che usano le figlie per compensare la loro mancanza di appeal sessuale”,

un’accusa, quest’ultima, che Shirlee Smith, fondatrice di Talk About Parenting With Shirlee Smith,

rifiuta categoricamente, perché, a suo dire,

“sono proprio le mamme a pagare nell’immediato per questa politica di sexy marketing, mentre le figlie diventano oggetti sessuali con il passare del tempo”.*

Insomma, la querelle continua ed il reggiseno, per ora, rimane lì pronto a lasciarsi acquistare da qualche mamma incosciente che, a quanto pare, preferisce l’apparire della moda alla tutela – psicologica e non solo – della propria piccina. Voi che ne pensate?

*Fonte | Corriere.it