Zara in Argentina tratta i lavoratori come schiavi con turni di 16 ore senza sosta

Dopo la notizia choc diramata da Greenpeace che accusava, dati alla mano, i grandi brand della moda di mettere in commercio indumenti contaminati da sostanze chimiche pericolose per l’uomo, Zara, non smette di essere nell’occhio del ciclone delle polemiche, accusata da più parti di trattare i suoi lavoratori come fossero degli schiavi. In Argentina l’orario di lavoro va dalle 7 del mattino alle 11 di sera senza sosta.

Sarebbe questo il modello di successo tanto decantato dal milionario spagnolo Amancio Ortega il cui fashion group, Inditex, continua a crescere a dispetto della crisi, in Europa e non solo? Costruito sulla pelle della povera gente? Il gruppo Inditex controlla anche le griffe Massimo Dutti, Bershka e Pull and Bear ed è presente in 86 paesi con ben 5.887 negozi, di cui 360 nuovi punti vendita aperti soltanto negli ultimi nove mesi dell’anno. Il tutto sulla pelle di lavoratori costretti a orari da schiavi perchè tutto sia fast e veloce e arrivi quanto prima nei punti vendita di Zara. D’altronde, era prevedibile. Se la ragione del grande successo mondiale di Zara risiede tutta nella sua velocità di rifornire i suoi store sempre di merce nuova e low cost ogni settimana, qualcosa che non va deve esserci per forza e se Inditex guadagna sono i lavoratori, anche minorenni, a rimetterci.

La denuncia, gravissima, è partita da un’inchiesta del “Daily Telegraph” che ha semplicemente fatto due più due: se un prodotto è realizzato troppo velocemente e costa poco si può essere solo in presenza di laboratori dove si lavora “stile cinese” per ore e ore senza sosta e senza alcun diritto e chissà con quale paga. In seguito alla denuncia di “La Alameda”, un’associazione locale per la difesa dei diritti dei lavoratori, la scorsa settimana le autorità argentine hanno finalmente effettuato controlli nei laboratori dai quali è emerso come uomini e minorenni vivano in terribili condizioni, mangiando e dormendo nello stesso posto in cui lavorano. Non hanno documenti, perchè spesso clandestini e gli veniva concesso di lasciare mai il luogo di lavoro, a meno di un permesso eccezionale.

Una storia davvero vergognosa. Come tutti i suoi precedenti. Di seguito: la tossicità degli abiti; le accuse di delocalizzare la produzione in paesi in via di sviluppo non solo per risparmare, ma anche per ridurre al minimo i margini di guadagno riservati ai subfornitori; l’essere volutamente poco vigile e presente nel controllo delle condizioni di lavoro e retribuzione di tanti suoi lavoratori pagati malissimo e trattati peggio. Tra le violazioni contestate ci sarebbero anche l’utilizzo di immigrati, nella gran parte boliviani, che hanno affermato di essere costretti a lavorare 13 ore senza sosta. Naturalmente, una portavoce di Zara si è detta esterrefatta e sorpresa per queste notizie choccanti provenienti dall’Argentina, smentendo subito che il laboratorio in questione abbia qualcosa a che fare con i fornitori certificati di Zara in Argentina.

Inditex, come da prammatica, si è messa naturalmente subito a disposizione di “La Alameda”, l’associazione locale per la difesa dei diritti dei lavoratori, ma è difficile credere che a un gruppo così grosso che conta fior di manager e professionisti del settore possa essere “sfuggito” che in Argentina i suoi lavoratori vengono trattati così. Si dice che “si è innocenti fino a prova contraria”, ma anche che “tre indizi fanno una prova” e, dopo la faccenda di Greenpeace, le accuse di sottopagare i subfornitori e adesso di schiavizzare i propri lavoratori, di Zara non si sa davvero più cosa pensare. E, francamente, nemmeno più del low cost.

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