Moda e Arte: Modalizer intervista Alessandro Fantini – I parte

Moda e Arte. Un connubio che nell’immaginario delle fashion addicted è spesso ricondotto all’haute couture, che nel suo eremo elitario interpreta la moda come arte contemplativa piuttosto che un mezzo d’espressione finalizzata al vestire.

Ma quando l’arte imbocca la direzione opposta, ovvero quando il pret a porter o la strada diventa protagonista della moda, allora la creatività rivendica un ruolo alternativo al couturier attraverso le creazioni di designer, writer, fotografi fine art e artisti multimediali.

E proprio per capirne di più, noi di Modalizer ci siamo rivolti a Alessandro Fantini, regista, pittore, scrittore, compositore, artista multimediale, anzi artista multimedianico come preferisce definirsi. La differenza? chiediamola direttamente a lui.

Ho coniato il neologismo “multimedianico” quale aggettivo qualificativo della mia arte per poter meglio differenziare il mio personale approccio creativo da quella cosiddetta “multimedialità” che, a mio parere, nell’epoca del Web 2.0 con l’incremento esponenziale delle contaminazioni espressive è diventato un termine abusato per nascondere spesso il vuoto di quei contenuti che dovrebbero giustificare l’ibridazione dei codici. Nel mio caso è la necessità di veicolare la condizione dell’alterità, ossia di tutto ciò che circonda e travalica la sfera dell’umano a richiedere l’interazione tra i linguaggi del video, della musica, della pittura e della parola scritta, al fine di restituire in uno stile continuamente mutevole e polimorfo quel mistero supremo, “il mysterium fascinans” come lo definì Rudolf Otto, che ritengo sia la virtù principe dell’atto artistico quando venga vissuto con la stessa intensità polisensoriale che i “medium” sperimentano facendosi canali viventi tra diversi piani spaziotemporali.

Dopo questa doverosa delucidazione, passiamo subito a una riflessione inerente all’arte nella moda:

Di recente, Milo Manara ha disegnato una collezione per Sisley; Pepe Jeans ha una linea dedicata a Andy Warhol. Anni addietro, Fiorucci ha tratto ispirazione dagli angioletti di Raffaello, Salvador Dalì ha ispirato Elsa Schiaparelli e Christian Dior. Possono essere considerati alcuni di esempi di rappresentazione dell’arte all’interno del contenitore moda o sono da considerare un gruppo eterogeneo di collaborazioni, ispirazioni, influssi?

Nel corso del ventesimo secolo l’arte e la moda hanno interagito costantemente facendosi l’una lo specchio dell’altra, fino a scambiarsi di posto o a fondersi più volte. Se nell’Ottocento personaggi quali D’Annunzio e Wilde fecero della cura maniacale del loro aspetto esteriore la proiezione della loro “forma mentis” estetizzante, sublimando nella vita e nella letteratura le manie del famoso proto-dandy Lord Brummel, il Novecento ha visto una continua osmosi tra la moda, il design e le arti “maggiori” tanto da rendere del tutto superflua la distinzione tra artista e stilista, come nel caso dello spagnolo Paco Rabanne, amico intimo di Dalí, la cui precipue inclinazione all’eclettismo gli permise d’imporsi prima come creatore di gioielli poi come autore di costumi di scena per film, su tutti quello celebre per “Barbarella”. Credo non sia casuale il fatto che abbia più volte dichiarato di essere interessato al paranormale, una passione che in qualche modo lo riconduce a mio concetto di “multimedianico”, sebbene la mia accezione sia più di carattere metaforico. Tra gli italiani mi piace citare anche Fabrizio Clerici, pittore surrealista il cui eminente ruolo nella storia dell’arte italiana non è stato ancora adeguatamente riconosciuto, che raggiunse risultati eccelsi nei disegni dei costumi per opere teatrali, balletti come “L’Orpheus” di Igor Stravinskij o il celeberrimo ballo in maschera organizzato dal conte de Beistegui tenuto a Venezia.

Domani torneremo con la seconda parte con l’artista abruzzese Alessandro Fantini.